lunedì 26 settembre 2011

l'algoritmo anti berlu....

Conclusione inevitabile per Silvio


Questo blog l’ha scritto in anticipo – era il 18 settembre e ne è seguito un dibattito vivace – che Silvio doveva “dire grazie ai pm” che, fino a quel momento, non gli avevano contestato l’induzione a rendere una falsa testimonianza. Il reato era lì, evidente, occhieggiava tra le testimonianze di Tarantini rese ai procuratori di Bari nell’indagine sulle escort, e ancora nella discrasia manifesta tra quei verbali e le intercettazioni dell’imprenditore barese con il giornalista-faccendiere Lavitola. Di certo, quando i pm Woodcock, Curcio e Piscitelli hanno contestato a Tarantini e Lavitola l’estorsione, non avevano in mano i verbali di Tarantini resi a Bari.

Magari ne avevano solo memoria. Ma quella testimonianza così insistita nel discolpare Berlusconi, quel negare ripetuto che il Cavaliere nulla sapeva dei denari versati alle ragazze, contrasta in modo marchiano con quanto lo stesso Tarantini dice al telefono con Lavitola, quando definisce “terrificanti” le registrazioni delle sue conversazioni con il premier che, ovviamente, lui ben conosce.


Berlusconi avrebbe pagato quasi un milione di euro per evitare che Tarantini parlasse. Questo è l’assunto del tribunale del riesame di Napoli.

Che, con una scelta comprensibile dal punto di vista della logica, ma che per certo solleverà ulteriori contrasti tra procure e ricorsi in Cassazione, invia le carte laddove si è consumato per la prima volta, con i verbali di Tarantini, la conseguenza del pagamento di Berlusconi.

Il capo del governo dà denaro a Tarantini perché lui a Bari ha già reso testimonianze compiacenti e perché sempre a Bari si svolgerà il processo sulle escort di palazzo Grazioli e villa Certosa, nel quale egli dovrà confermare quello che ha già messo a verbale. Berlusconi paga a Roma, dove il gip Primavera ha già trasferito l’inchiesta napoletana. E tra Bari e Roma potrebbe essere inevitabile il conflitto sulla competenza.


Certo, non è una coincidenza felice che a reggere la procura di Bari ci sia proprio quell’Antonio Laudati finito sotto inchiesta a Lecce, su atti inviati da Napoli, perché proprio con i suoi comportamenti, che Tarantini indica nelle sue telefonate con Lavitola, avrebbe favorito Berlusconi.

Non è positivo che finora proprio Laudati non abbia avvertito la necessità di “correre” a Napoli per capire se quell’inchiesta si saldava con la sua. A questo punto l’indagine di Lecce su Laudati diventa urgentissima, così come sono strategici gli accertamenti del Csm. Se Laudati resta a Bari, visto che non avverte la sensibilità di farsi da parte in una situazione così delicata, siano Lecce e il Csm a sbrogliare in fretta la matassa.
E a decidere se il procuratore ha i titoli morali per restare lì oppure se ne deve andare subito.

La decisione del riesame di Napoli ha un gravissimo risvolto politico. Ormai Berlusconi è arrivato a collezionare un numero spropositato di inchieste.
E altre ancora potranno nascerne, visto che potrebbe cadergli addosso un’accusa di corruzione, tra Bari e Roma, per aver mediato oltre il lecito nei rapporti tra Tarantini e i vertici della Protezione civile (Bertolaso) e quelli di Finmeccanica. Non basta. Se Berlusconi ha indotto Tarantini a mentire, vuol dire che vibè un’altra verità da scoprire sulle escort del Presidente.
Essa può essere una sola: il Cavaliere non era solo, per usare l’espressione del suo avvocato Ghedini, “l’utilizzatore finale” delle ragazze, ma colui che, pagando, le induceva a prostituirsi. Non solo senza badare se esse fossero minorenni o maggiorenni, ma anzi cercandone della prima categoria, come il caso Ruby dimostra appieno.
Sarebbe oltremodo urgente che il premier optasse per un passo indietro, per difendersi liberamente davanti ai magistrati da un lato, per restituire trasparenza al quadro politico dall’altro. Non si riesce a capire con quale faccia egli possa affrontare in Parlamento la battaglia sulle intercettazioni che lo riguarda da presso. E magari mettere anche la fiducia per accelerare una legge destinata a mettere il bavaglio ai giornali e non far pubblicare proprio le intercettazioni che lo riguardano e che potrebbero portarlo a una condanna.

Questa volta non sono stati i pm di una procura a metterlo in stato d’accusa, ma addirittura forzatamente i giudici che hanno rimbrottato le scelte dei pm.
Ciò rende la posizione di Berlusconi ancora più compromessa.
E il passo indietro inevitabile. In caso contrario l’imbarbarimento istituzionale salirebbe a un gradino mai raggiunto.
Mettendo a rischio lo stato di diritto in Italia.